Il Graduate Program è il primo step del percorso di crescita firmato VetPartners. In strutture di referenza della nostra famiglia si declina nell’Internship Rotazionale: un percorso rivolto a medici veterinari neoabilitati motivati a sviluppare solide basi scientifiche e metodologiche per intraprendere futuri percorsi di specializzazione, tra cui il conseguimento del titolo di Diplomato Europeo.
Ma cosa succede quando questo percorso volge al termine?
Ce lo racconta Alice Zangheri, partecipante del progetto Graduate Program come Intern, e ora Medico Veterinario Junior, presso l’Ospedale Veterinario San Francesco di Milano, struttura della nostra famiglia!
Ripensando al tuo percorso, qual è stata una situazione che ti ha messo in difficoltà e come l’hai superata?
Una delle difficoltà più grandi all’inizio dell’internship è stata comunicare con i proprietari, soprattutto nei momenti in cui non sapevo esattamente cosa dire, non avendo ancora abbastanza esperienza clinica alle spalle. Mi sentivo spesso impacciata, con il timore di non riuscire a trasmettere correttamente le informazioni o di non saper rispondere alle loro domande.
Col tempo però, è stato molto soddisfacente rendermi conto che la situazione cambiava: sia perché avevo acquisito le nozioni necessarie da condividere, sia perché, lavorando giorno dopo giorno, ho iniziato a sentirmi più sicura nella comunicazione.
È stato fondamentale osservare i colleghi più esperti, ascoltare con attenzione come gestivano il dialogo con i proprietari, soprattutto nelle situazioni più delicate, in cui era necessario far comprendere la gravità della condizione clinica. Chiedere consigli su come affrontare questi momenti mi ha aiutato tantissimo a trovare il mio modo di comunicare, più efficace e consapevole.
Qual è stata l’esperienza che ti ha dato particolare soddisfazione?
Un momento che mi ha dato soddisfazione è stato quando ho iniziato a fare i primi turni in pronto soccorso, affiancata ma con un po’ più di autonomia. Poter gestire le visite in prima persona, anche se sotto la supervisione di un collega, è stato importante.
Le prime volte in cui proponevo un iter diagnostico e, confrontandomi con chi mi affiancava, trovavo che fosse in linea con quanto avrebbero fatto loro, mi ha dato più di fiducia nelle mie capacità. Non è stato un passaggio improvviso, ma mi ha fatto sentire che stavo iniziando a costruire un mio modo di ragionare, e che potevo iniziare a fidarmi delle mie competenze.
Quali aspetti del percorso di internship rotazionale hai trovato particolarmente utili o formativi per la tua crescita professionale?
Dal punto di vista formativo, avere un’infarinatura generale di tutto è stato davvero utile. Ad oggi, lavorando in terapia intensiva e pronto soccorso, capita spesso di affrontare situazioni trasversali; quindi, avere anche solo una base su ambiti come la medicina interna o la chirurgia fa la differenza.
Il valore aggiunto dell’internship rotazionale, per me, è stato proprio poter vivere realtà diverse, acquisendo una visione più ampia.
Oltre alle competenze cliniche, è stato importantissimo anche capire come funzionano i reparti e come lavorano insieme. In una struttura grande è fondamentale sapere a chi rivolgersi, come collaborare e come muoversi per gestire al meglio i pazienti. Inoltre, mi ha aiutata a chiarire quale ambito volevo davvero approfondire, fornendomi gli strumenti per prendere una decisione più consapevole sul mio percorso professionale.
Che consiglio daresti a chi sta valutando ed è indeciso se intraprendere un percorso di internship rotazionale?
Il mio consiglio è di prendersi un momento per capire cosa si vuole davvero da un’esperienza formativa. È utile chiedersi: ho bisogno di esplorare prima di scegliere? Ho voglia di mettermi alla prova in contesti diversi, anche se questo può voler dire uscire dalla mia comfort zone?
Credo che l’internship rotazionale sia un’ottima opportunità per chi è indeciso e non ha ancora le idee chiare su quale direzione prendere, poter vedere da vicino realtà diverse aiuta a capire cosa si adatta meglio alle proprie inclinazioni.
Ma è altrettanto utile anche per chi ha già una preferenza definita, perché permette comunque di ampliare il proprio bagaglio culturale e acquisire una visione più completa del lavoro clinico. È un’esperienza intensa, ma se affrontata con apertura e curiosità, può davvero fare la differenza nella propria crescita, sia professionale che personale.